Il giullare di corte ha i giorni contati,
Davanti alla regina si esibisce.
Con maestria il suo cuore intristisce,
Mentre i sudditi guardano affamati.
Canta la storia di un nobile vagabondo
Che di città in città errava;
Di giorno viaggiava, di notte si fermava
Per guardare il cielo rotondo.
Della volta celeste le stelle contava,
Ogni notte perdeva il conto.
Troppo breve è il tempo tra alba e tramonto:
La mattina s’incamminava.
Senza meta, verso l’orizzonte diretto,
Si era perso nel vasto mondo.
Si addormentava e galleggiava sul fondo
Della bottiglia il lazzaretto.
Annegato l’alba seguente si svegliava
E riprendeva il suo viaggio.
Il vagabondo non ne aveva di coraggio,
Ma armoniosamente cantava.
Dei passanti gioivano le sorde orecchie,
Mentre il randagio procedeva.
Cantava d’amore, il cuore commuoveva
Di giovani, adulti e vecchie.
Cantava d’un amore da tempo perduto
Che non sperava più tornasse.
Aspettava la Luna dal cielo crollasse:
Parlarci, avrebbe voluto.
Voleva domandarle quante stelle ha visto,
Lui non riusciva a contarle.
In cambio, eterno amore voleva darle,
Ma il destino per lui fu tristo.
Una notte d’Agosto le stelle contava,
Ma loro stavano cadendo.
A poco a poco, il cielo spoglio restava:
Il nobile stava piangendo.
Nulla per lui era rimasto da scrutare
Nell’immensa, nera vastità.
Passava la notte intento a ubriacare
L’ombra ultima di sobrietà.
Ai piedi d’una montagna, preda del vino,
Cadde quel nobile randagio.
Non si risvegliò più il seguente mattino:
Triste, fatale naufragio.
Non riuscì a contare tutte le stelle:
Non trovò più il suo amore.
Lupi affamati gli strapparono la pelle:
Sgorgò fuori tutto il dolore.
Così, il giullare conclude il suo canto:
La sua regina lacrima.
Mentre i sudditi, ancora col cuore affranto,
Piangono la fame intima.
March 2015